Carolina Pacchioni
Carolina Pacchioni

Growth Manager

L’importante è avere carattere

Durante una lettura estiva, mi sono imbattuta in questo pensiero*:

"Quella notte ho sognato che ogni persona in questo mondo ha un tipo di font tutto suo, con il quale è scritta la storia della sua vita e, in sogno esigevo dal Presidente della Commissione Caratteri di cambiare il font a me destinato. Mi ha risposto che era impossibile: il font con cui si scrive la vita di un uomo è stabilito dalla nascita, dopodiché diventa immodificabile. Ho battuto le mani di rabbia, come fa sempre Liri, ma lui è rimasto con le braccia incrociate sul petto, irremovibile”.

*Estratto da "Tre Piani" - Eshkol Nevo - Neri Pozza Editori

Già, ho sempre pensato la stessa cosa.

Ognuno ha il proprio carattere, la propria indole e la propria personalità: immagino ciascuno di noi come un carattere, un font, aggraziato o spigoloso, minuto o ingombrante, contraddistinto da forme distintive. Il carattere di testo è un elemento essenziale nella comunicazione e nell’identificazione di un brand, ma non solo. Spesso ci si sofferma al contenuto di ciò che leggiamo, molto meno ci soffermiamo sulla sua forma. Oltre al testo, c’è di più.

Il font nelle nostre vite è onnipresente, inclusivo, identificativo e certamente, creativo.

Partiamo dalla denominazione “font” ; la sua stessa definizione è motivo di dibattito e, in perfetto tempismo contemporaneo, anche di genere. Da quanto riportato dall’Accademia della Crusca, il suo sesso va scisso tra l'utilizzo tipografico (LA font, femm./sing.) ed informatico (IL font; masch./sing.). La font ha il merito di essere stata la fautrice del nostro linguaggio comunicativo ma nel corso degli anni, in seguito all’espansione tecnologica, ha dovuto far spazio alla sua versione maschile, quella che vediamo nei siti web, sui nostri telefoni e su tutto ciò che sia dotato di uno schermo. Possiamo ben dire che da carattere mobile è divenuto carattere mobile (phone) e chissà quale sarà la sua evoluzione nei prossimi anni a venire. Per quanto di origine antica, resta sempre attuale.

Se pensiamo alla nostra infanzia o adolescenza, siamo sempre stati accompagnati da tanti tipi di carattere. Il serif (con grazie sans-serif ( senza grazie ) subentrato con prepotenza durante l’adolescenza (chi ricorda le chat Messanger, la prima vera App di messaggistica online?). La/Il font ci trasporta in ricordi passati e inconsciamente o no, ha lasciato un segno nella nostra memoria. Ha reso celebri marchi, testate, slogan. È il suo destino, è nato per comunicare e dare un impatto visivo a ciò che si vuole trasmettere. Tutto questo si ricollega ad una sfera più psicologica e a ciò che gli esperti del settore indicano come "crossmodalism“ (approccio post-modale): nel momento in cui viviamo un’esperienza, non si attiva un solo senso. Non guardiamo semplicemente un carattere, il nostro cervello elabora molte informazioni sensoriali e le rielabora. Un elaborato processo di combinazioni percettive non verbali e significative nel rappresentare un messaggio, un’identità, un’immagine riconoscibile.

I principali brand globali hanno un font di riferimento, un carattere che li accompagna nella comunicazione delle campagne aziendali e che li rende immediatamente distinguibili.

Ogni font ha un suo nome, una sua storia di nascita, una sua indole e una fisionomia che spesso ne pregiudica il suo utilizzo. Il parco dei caratteri è un grande mondo eterogeneo, diversificato, popolato da vere “famiglie”. Alcuni iconici e facenti parte nell’immaginario di chiunque: basta nominare Cominc Sans, divenuto tristemente l’incubo di ogni graphic design (e non); il carattere tipografico creato da Microsoft per l’assistente virtuale “Bob”, un cane giallo che doveva accompagnare l’utente nell’utilizzo del sistema operativo. Povero Bob: non sapeva il destino che si sarebbe prospettato.

Come dimenticare il noto “Calibri”, altro carattere che ha segnato un’epoca e che pare ormai obsoleto. È fresca la notizia per cui, sempre Microsoft, abbia deciso di sostituirlo di default con ben cinque proposte di font sostitutivi. Sembra che il font predefinito influisca in modo significativo sulla prima impressione dell’utente, essendo utilizzato ad ampio raggio per svariate necessità (curricula, mail e documenti vari). La famosa “prima impressione” ha spinto gli sviluppatori Microsoft a rendere più attrattiva la propria tipografia virtuale ed abbandonare ciò che sono stati i capisaldi della nostra scrittura.

I caratteri definiscono un’epoca: basti pensare al font Littoriano che ha caratterizzato culture e architetture negli anni '40 del ‘900 e, se proprio vogliamo esagerare, facciamo un altro sbalzo temporale a ritroso sino al font lapidario, tipico di epigrafi o monumenti riconducibili all’età imperiale.

Dovrebbe essere ormai chiaro che gli elementi tipografici identificano epoche e generazioni; influenzano, volenti o nolenti, la nostra esistenza e il contesto in cui viviamo.

Struttura “Sogni”- Ex bagni pubblici | Edmondo Rossoni – “Città Metafisica” – Tresigallo (FE)

Tutto ciò rimanendo al passo con i tempi e introducendosi anche nella sfera sociale. Recenti studi tipografici hanno portato all’ Easyreading , un font ad alta leggibilità per chi soffre di dislessia, un disturbo che colpisce il 10% della popolazione mondiale. Questo speciale carattere verrà utilizzato in una piattaforma di e-learning che utilizza l’intelligenza Artificiale per migliorare l’apprendimento degli utenti. Il font Easyreading, disegnato a Torino da Federico Alfonsetti, presenta 811 caratteri che agevolano il lettore dislessico ma che sono comprensibili anche al fruitore comune, divenendo un linguaggio inclusivo ed innovativo, applicabile a svariati ambiti. Una vera rivoluzione.

Indici d’umore: nei nostri social abbiamo ricordato la Capslock Day, la giornata del MAIUSC, ormai identificativo di un sentimento di risentimento, un tentativo di FAR SAPERE AL MONDO QUALCOSA DI IMPORTANTE DI NOI o un semplice modo per ribadire un concetto in maniera abbastanza decisa e categorica. Chi non è mai stato rimproverato da un font? IMPOSSIBILE non vi sia accaduto.

Indicatore d’attualità: pare infatti che l’annosa pandemia di Covid-19 abbia influito anche sulla tipografia. Grandi compagnie e multinazionali hanno abbandonato caratteri funzionali e spigolosi a favore di font tondeggianti e maggiormente rassicuranti. L’evoluzione della società, delle abitudini e del linguaggio non cambiano solo le parole che utilizziamo ma anche il modo in cui queste vengono rappresentate graficamente. Secondo alcuni esperti, il nostro cervello associa determinate forme a concetti o sentimenti. Curve, grazie e forme tonde unite all’unisono per ricordarci che “Andrà tutto bene”, un tentativo tipografico che lavora sull’inconscio per dare maggiore sollievo alle nostre vite pandemiche.

Studio della graphic designer Sarah Hyndman che per capire quali caratteri tipografici riflettono maggiormente i valori della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. Utilizzando diverse famiglie di caratteri, ha domandato a degli utenti quale fosse il font che meglio si abbinava al termine. Notare come per “Democrazia” (Democracy) abbia prevalso un font classico mentre per Libertà (“Freedom”) sia stato votato un carattere più sinuoso e curvilineo.

Per approfondire

Tutto questo per dire cosa? Si, può sembrare un inconcludente sproloquio caratteriale ma la vita della tipografia (antica o moderna) è troppo ampia per un solo articolo. Ogni qual volta si vuole avviare un progetto, è fondamentale dare un’impronta, uno stile, un carattere. La brand identity parte proprio da questo elemento e può rendere un marchio unico. Un messaggio può cambiare significato in base al font d’utilizzo così come può essere più o meno efficace. Da non sottovalutare la dimensione e il peso: grande, piccolo, italic, bold, semi-bold; variazioni influenti nella resa comunicativa. Moderno, elegante, rassicurante o tecnologico, il font può trasmettere tanto: bisogna sempre partire da ciò che si vuole comunicare e ciò che il marchio vuole riflettere. Inutile dire che l’insieme deve essere ben leggibile ed armonioso. La prima decisione importante per un’azienda consiste nel fare la giusta scelta estetica. Non si tratta di dettagli ma di elementi basilari fondamentali. Per costruire una casa ci vogliono le fondamenta, giusto?

Se si vuole creare un’immagine solida, bisogna avere carattere .

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